QUANDO L’ORRORE NAZISTA ENTRÒ AL CASTELLO DI PIOVERA
Il 22 dicembre 1944 la stampa alessandrina pubblica la seguente notizia: “In territorio di Piovera è stato rinvenuto cadavere il contadino Carlo Rossi, di 37 anni, di S. Giuliano Nuovo, che si era recato in quel Comune per l’acquisto di un maiale. Era stato colpito da colpi d’arma da fuoco”. Poche righe, confuse tra le altre notizie, con il freddo linguaggio della burocrazia da caserma. Questa scarna e asettica manciata di parole nasconde un eroe della Resistenza il cui sacrificio, insieme a quello di milioni di persone, donerà all’Italia la libertà.
Cosa sappiamo di lui? Molti fatti, la cui realtà è ben diversa da ciò che emerge dalla stampa, a partire dal nome errato. Errore forse involontario, ma che non perdona l’aver travestito di banalità l’atrocità, abitudine comune ai giornali italiani dell’epoca.
Ma andiamo con ordine. Nel ‘67 il conte Niccolò Calvi acquista il Castello di Piovera. Gli amministratori precedenti gli raccontano una vicenda terribile: durante la Seconda Guerra Mondiale il Castello è occupato dai Tedeschi, che, non contenti di aver disboscato la tenuta e terrorizzato la popolazione, nel ‘44 imprigionano, torturano e uccidono un partigiano.
Questo racconto, che il conte Calvi custodisce da allora, ci spinge a cercare conferme. Convinti che una notizia del genere non possa non essere stata comunicata dai giornali locali del tempo, scaviamo nei loro archivi storici digitali e con non poca fatica, finalmente, ci imbattiamo in quel trafiletto. O meglio, in quello che, tra tutti, ricorda lontanamente la nostra storia.
Quelle parole non ci convincono. Un contadino va a comprare un maiale e lo “ritrovano” ammazzato. Da chi? Perché? Dove di preciso? E’ lui il partigiano ucciso dai Nazisti al Castello?
Il nome e il luogo sono la traccia da seguire che ci porta dritti a tre istituzioni: Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), Istoreto (Istituto piemontese per la storia della Resistenza) e Isral (Istituto per la storia della Resistenza di Alessandria).
Nelle loro banche dati scopriamo che Carlo in realtà si chiama Paolo. Nel ‘44 organizza la lotta armata contro i nazifascisti nel Tortonese e diventa commissario della 108a Brigata della Divisione Garibaldi col nome di battaglia “Mario”. Il 14 dicembre, durante un rastrellamento a Piovera, viene catturato da spie fasciste e consegnato ai Tedeschi presso il Castello, base nazista. Sottoposto a interrogatorio e sevizie, non svelerà mai i nomi dei compagni. Sarà fucilato e abbandonato in un fosso lungo la strada per Alessandria. Nel ‘45 la 108a Brigata assumerà il suo nome e dopo la Liberazione Paolo Rossi sarà decorato con la Medaglia d’argento al valore militare.
Il puzzle si completa quando veniamo a conoscenza di due libri che aggiungono alla storia aspetti, anche emotivi, significativi. “Una brigata di pianura” (1976) e “Tra lo Scrivia e il Po” (1982) sono le memorie di Osvaldo Mussio, compagno di Paolo. Nel primo, Mussio racconta che le spie che lo tradiscono sono due fratelli di Piovera, infiltrati tra i partigiani. “Mario” non si reca in paese per comprare un maiale, ma per chiarire con i due alcuni loro comportamenti ambigui: “I fratelli, gettata la maschera, armi alla mano lo arrestano e lo consegnano ai Tedeschi. Mario, chiuso nel castello, dopo aver urlato il suo disprezzo alle spie, non dice parola. Nega tutto. Lo percuotono, lo minacciano, ma non apre bocca. Gli fanno scavare la fossa, lo denudano, lo torturano. Ma lui tace. Ha troppo alto in sé il senso di responsabilità e lo spirito di sacrificio. Lo sorregge una fede incrollabile nel suo ideale e nella libertà. Lotta fino a quando il suo corpo non regge più”.
Nel secondo libro, Mussio raccoglie la testimonianza di Romanina Crivelli, all’epoca donna di servizio del Castello: “Nel dicembre ‘44 assistetti a una scena raccapricciante che non aveva niente di umano. Un partigiano fu arrestato e portato in Castello. Coi mitra puntati su di lui, tra gli insulti dei Tedeschi e dei repubblichini, fu costretto a scavare nella terra. Sentivo gli urli di quelle belve che si accanivano su quell’uomo dal quale non sentii né parole né gemiti. Il mattino seguente quell’uomo non c’era più e qualcuno mi disse che lo avevano ucciso dopo averlo massacrato di botte. Avevano portato il cadavere sulla strada per Alessandria, forse per tentare di nascondere il loro misfatto. Alla fine della guerra i Tedeschi furono catturati e noi finalmente tornammo a vivere in pace”.
Se ancora oggi celebriamo quel ritorno alla pace nella giornata del 25 aprile lo dobbiamo, con rispetto e umiltà, a uomini come Paolo Rossi. Eroi con le mani sporche di terra che per quella terra hanno guardato in faccia l’inferno senza arretrare di un passo.
Grazie a Paolo, la cui storia come un filo rosso è giunta fino a noi dopo 77 anni senza perdersi tra le pieghe del tempo, quest’anno riapriremo il nostro Castello con un motivo di orgoglio in più.
Un ringraziamento speciale alle nostre fonti:
www.anpi.it – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
www.istoreto.it – Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea
www.isral.it – Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria
www.storiabassavallescrivia.it
www.ilpiccolo.net
Una brigata di pianura: cronaca della 108a Brigata Garibaldi Paolo Rossi (Divisione Pinan-Chichero), Osvaldo Mussio, 1976, a cura della Sezione A.N.P.I. di Castelnuovo Scrivia (AL)
Tra lo Scrivia e il Po, Osvaldo Mussio, Edizioni Dell’Orso, 1982